Nel tritacarne della pandemia è finito anche lo Struscio: meraviglioso ed antichissimo “rito” della Settimana Santa mediterranea, irrinunciabile come la pastiera di grano, il casatiello, i deliziosi carciofi “arrustuti” e le uova sode. Sinonimo stesso di “assembramento“.

Quindi impraticabile “eresia” nella Pasqua anti-Covid.

Fino a due anni fa lo Struscio animava la sera del Giovedì Santo quando fedeli (e non), col pretesto di visitare i sepolcri in almeno tre chiese, passeggiavano a braccetto fermandosi a chiacchierare infinite volte con infiniti conoscenti incontrati nelle vie gremite e dolcemente illuminate dei centri storici.

L’aria odorosa di fiori, di incenso, delle pastiere appena sfornate dai panettieri aperti fino a tardi… una vera goduria.

Lo Struscio coinvolgeva intere generazioni, dalla bis-bisnonna al bebé. Per l’occasione si ingegnavano con orgoglio i vestiti leggeri, appena acquistati: vietati gli abiti invernali. Se faceva freddo bisognava battere i denti con stile lasciandosi andare alla piacevolezza di una movida pasquale che sapeva di primavera, di rinascita, di innamoramento e di socialità ritrovata dopo l’isolamento invernale.

Appena ieri, appena centinaia e centinaia di anni fa.

Quando il Vicereame spagnolo importava a Napoli il divieto delle carrozze nella Settimana Santa, per evitare assembramenti (!) in via Toledo. Popolino e nobiltà, tutti a piedi. Senza fretta: il passeggio dei Sepolcri cadenzato dallo strusciare delle scarpe sul selciato, dal fruscio del vestito buono.

Giovedì Santo ‘o «struscio» è nu via vaie:/Tuledo è chiena ‘e gente ‘ntulettata,/ca a pede s’ha da fa’ sta cammenata,/pe’ mantene’ n’usanza antica assaie./– Mammà, ci andiamo? – Jammo. Ma che faie?/– Vediamo due sepolcri e ‘a passeggiata./E ‘a signurina afflitta e ‘ncepriata/cerca ‘o marito ca nun trova maie (…).

La pandemia cancella con lo Struscio una tradizione “minore” che forse non tornerà più, sostituita dalla socialità igienizzata di feisbùk e vuotsàpp. E’ il “vezzo inutile” che si arrende all’emergenza-perenne, al Covid prepotente e misterioso che annienta le persone e il tessuto socio-culturale latino.

Che divora religiosità, memoria e tradizioni forse anacronistiche ma che ci caratterizzano, ci nobilitano. Ci salvano dalla barbarie dell’omologazione.

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