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I più bei centri storici d’Italia sono colonizzati da megastore <\/b>che importano i loro vestiti da nazioni dove si sfrutta il lavoro minorile e si orlano giacconi con pellicce di cane.
Sono giganti che hanno invaso il mercato globale vendendo straccetti che non superano una centrifuga ma sono incorniciati da sontuose, fantasmagoriche ambientazioni firmate dai più grandi architetti.
Tutti molto glamour<\/i>.
E tutti uguali, per uniformare fra di loro i volti delle città del mondo intero.
Al punto che un viaggiatore distratto potrebbe non capire se si trova in una via di Firenze, in una street <\/i>di Londra o in una avenida <\/i>madrilena.<\/p>\n

I giovani non lo sanno, ma non è stato sempre così.
Tanto tempo fa, nelle “vecchie eleganti vie del centro” esistevano le eleganti boutique<\/i> e i vecchi, cari caffè delle “vie del centro”, appunto.
I gestori erano italiani: niente occhi a mandorla o body guard<\/i> di colore o parlate incomprensibili al di fuori dei dialetti.<\/p>\n

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Melting pot<\/a><\/i> era un nebuloso concetto abbinato alla Grande Mela<\/b><\/i> e andare a far compere (non esisteva lo shopping<\/i>) era una vera goduria per la diversificazione dell’offerta, per la libertà di scegliere (i capi erano più cari, è vero, ma duravano anni) e di scovare il tesoro nascosto, un negozio speciale, magari all’angolo fra piazza Vittoria e via Calabritto.<\/p>\n

Amarcord <\/a><\/i>una bottega, tantissimi anni fa…
perché un paio di volte ho avuto la bella idea di andare, sotto Natale, a comprare come regalo una cravatta da Marinella<\/a>.
Bella idea davvero: il piccolo negozio con la sua porticina. I cassetti fino in cielo e giù, in terra, nel poco spazio lasciato libero dalle vetrinette antiche, di legno scuro: La Ressa!<\/p>\n

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A sgomitare, a vociare come popolane al mercato c’era la crème <\/i>dei professionisti partenopei, medici e avvocati altrimenti austeri, che si agitavano come dannati per ordinare “due”, “dieci”, “venti” cravatte, e il gilettino <\/i>in cachemire, e ‘na pochette<\/i>…
Non ho mai più visto, dopo di allora, degli uomini andare fuori di testa in quel modo per un capo di abbigliamento (vabbeh<\/i>, un accessorio): quella benedetta cravatta di Marinella<\/a>!
Che alla fine nemmeno ho comprato perché, in debito di ossigeno, sono corsa via rinunciando al mio proposito.<\/p>\n

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Oggi Marinella <\/a>ha compiuto cent’anni: <\/b>è un vanto del made in Italy<\/b>, <\/b>ha punti vendita sparsi in tutto il mondo pur mantenendo intatte la qualità e la bellezza delle sue prestigiose creazioni.
E così una volta tanto assistiamo a un lieto fine visto che la piccola bottega si è trasformata in una bella farfalla e non, come sempre più spesso capita nelle città italiane, in un fast food<\/i>.<\/p>\n

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