Il mio primo mezzo secolo di vita è stato scandito dal calendario Barbanera.

Già alle elementari penzolava accanto al Crocifisso, proprio lì, dietro la temuta cattedra.
Poi si è trasferito sulla parete delle superiori fra la Croce, la lavagna e qualche graffito scritto con la biro. A casa delle mie compagne era un must.
Mio cognato non si azzardava a piantare una zucchina nel suo orto cittadino se Barbanera non gli propiziava la luna.


A volte l’ho messo come regalo nei cesti natalizi, fra il panettone e lo spumante, perché sapevo che, almeno quello, non sarebbe stato riciclato.

Oggi scopro che dietro al vecchio calendario e agli oroscopi (infallibili!) curati dall’Editoriale Campi di Foligno, c’è la poderosa raccolta degli almanacchi Barbanera: una cosa “seria”.

Infatti è la più completa al mondo nel suo genere, composta da 356 esemplari datati 1762-1962, motivo per cui è stata dichiarata in questi giorni patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, come simbolo di un genere letterario in cui si rispecchia la cultura popolare, vale a dire il DNA di una nazione.

Gli almanacchi di Barbanera sono così entrati a far parte del Memory of the World Register, una biblioteca universale che raccoglie l’alfabeto fenicio, la Nona di Beethoven, i film dei fratelli Lumière, l’archivio Pasteur e tanti altri tesori da preservare.

Una consacrazione che restituisce un po’ di autorevolezza al vecchio calendario ormai messo in ombra dal sito web che snocciola astri, tisane e fasi lunari con velocità, completezza e modernità.
Ma senza più magia.

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